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      |   da “Linguaggi della  musica contemporanea” a cura di Renzo Cresti, Ed. G. Miano, 1995 Rocco Abate si è  formato alla scuola milanese, diplomandosi in Flauto, Strumentazione per banda  e Composizione presso il Conservatorio "G.Verdi" di Milano, dove  attualmente insegna flauto. Abbandonata nel 1978 l'attività concertistica - che  l'ha visto impegnato, in Italia e all'estero, sia come solista, sia in  complessi cameristici, nonchè in orchestre come La Scala, I Pomeriggi Musicali,  la Sinfonica della RAI, la Sinfonica della Radio Svizzera, l'Angelicum, ecc. -  si dedica da allora alla didattica e, principalmente, alla Composizione. Ha  inoltre collaborato con numerose riviste musicali.
 Il suo catalogo  comprende opere per strumento solo, per complessi da camera, per voce, coro,  strumenti elettroacustici, per orchestra. Programmate e radio-teletrasmesse in  Italia, ma anche all'estero - Francia (anche Radio France), Germania, Spagna  (anehe Radio Nazionale spagnola), Portogallo, Svizzera, Russia, Australia e  Stati Uniti. Le sue composizioni, eseguite da interpreti di prestigio  internazionale, sono edite da Edipan, Ricordi, Rugginenti. Alcune sono incise  su dischi Edipan, Rusty Records, Fonit Cetra, Ricordi. Hanno parlato o scritto  dcl suo lavoro, fra gli altri: P.Aequafredda, M.Bortolotto, F.Cella,Renzo  Cresti, M. D'Amico, A Foletto, A. Gentilucci, G.Lozza, L. Ketoff, G. Negri,  M.Pasi, L. Pestalozza, P. Petazzi, P. Renosto, G. Zàccaro.
 ELOGIO DEL PUDORE
 A un ampliamento  della sfera comunicativa, Rocco Abate preferisce un andare in profondità,  volutamente delimitando il raggio di comunicazione, scartando ogni  orizzontalità dell'ascolto, per privilegiare esclusivamente la verticalità, la  profondità dell'espressione, la qualità del rapporto, nella convinzione che  l'unico sentiero percorribile sia quello che porta in direzione di noi stessi.  L'impegno dell'artista rimane al di qua dei meccanismi produttivi, è rivolto  allo scavo interiore, a portare alla luce le necessità spirituali più  autentiche, mettendo così a disposizione degli altri la testimonianza del suo  essere, testimonianza di persona, ben più sostanziosa di quella squisitamente  intellettuale o di quella "sentimentale". Questi i propositi umani  della musica di Abate, il quale coglie, con pudore, uno dei tratti fondamentali  della cultura degli ultimi anni, quello della rivalutazione della persona,  centro delle dinamiche sociali. Gran parte della cultura contemporanea è  rimasta legata a letture di tipo sociologico, non cogliendo o non riuscendo a  mettere in circolo la richiesta di una nuova dignità reclamata dalla  testimonianza dell'uomo, inteso quale unicurm.
 Nato a Oriolo, Rocco  Abate si è trasferito a Milano per gli studi e nel capoluogo lombardo è rimasto.  Non sappiamo quanto questa scelta sia stata proficua per l'uomo, prima ancora  che per il musicista; qualche anno fa, nel nostro libro Verso il 2000 (1), esprimevamo delle  perplessità sulla pacifica convivenza fra la generosa e profonda sensibilità di  Abate e il manageriale e nevrotico ambiente milanese. Nella
 musica del Maestro  calabro é presente, prima esplicitamente poi come filo sotterraneo, uno  struggente ricordo della natura natia, infatti nei pezzi giovanili vi si nota  una straziante melodia e, a un tempo, una sorta di rabbia, una tensione  continua che sembra riallacciarsi a mondi arcaici.
 La forza della  musica (ma ancor prima dell'uomo) di Abate sta nel mantenere intatta la sua  squisita cultura e l'avvolgente tenerezza  dell'intelletto (2).
 Il raziocinio di  Abate non é mai quello di una ragione solo ragionante, di un musicista "da  lavagna'', come diceva Cocteau, ma sa modellarsi sulle esigenze del vissuto,  andando incontro a quella tenerezza ch'è propria dell'intimità dell'essere di  Rocco Abate, il quale scrivc: "L'intelligenza non fa il compositore \...\  si tratta di un'intelligenza speciale e che, proprio perché tale, è, forse, più  esatto definire intuito, capacità di intuizione \...\ la bellezza è fatta di  cquilibri delicati, di proporzioni che non si misurano, ma si intuiscono \...\  è forse il tempo di riparlare anche di quel misterioso oggetto che è la  musicalità" (3). "Musicalità" è stata una parola proibita dai  cerberi dell'ideologia della struttura, invece è un elemento essenziale alla buona  riuscita del brano, difficile da delinire, ma chiarissimo all'ascolto; è dipeso  proprio dalla mancanza di musicalità che la musica di stampo strutturalistico  s'è allontanata dal pubblico, il quale (come nota anche Abatc nello scritto  sopra citato) non è sordo e, forse inconsapevolmeute, si rende conto se l'opera  che sta ascoltando nasce da veri stati di necessità oppure e solo un  interessante giochetto sonoro; il pubblico ama farsi coinvolgere e se questo  non è avvenuto è, in gran parte colpa degli stessi compositori (in questa sede  lasciamo perdere lc deficenze della Scuola, dei Conservatori, delle Università,  le colpe dei mezzi di comunicazione di massa ecc.). I neo-romantici, che pur si  sono accorti del problema, hanno fallito perché hanno pensato a cosa fornire al  pubblico di ben confezionato, effettuando una sorta di statistica sui gusti del  pubblico, senza essere partecipi ad alcun perché e di questa inautenticità  sentimentale il pubblico sè subito reso conto, percependo anche i furbeschi  ritorni al passato e l'abbassamento della qualità della scrittura.
 Per i canoni dell'impostazione meccanicistica, di tipo donatoniano, è un  peccato far emergere la propria interiorità, la quale deve sottostare alle  leggi del cosiddetto "materiale", anche quando queste conducono a  zone di aridità, di ripetitività, di noia. In questi anni recenti molti  compositori, escludendo le punte più ideologizzate, hanno sentito l'esigenza di  ricercare soluzioni più vicine alla propria sensibililà, ovviamente non cadendo  nel tranello di banalizzare il linguaggio, così Abate si ritrova in prima linea  con le nuove esigenze critiche e metodologiche, al di qua di  nei-strutturalismi, nei-romanticismi, nei-qualunquismi.
 Nella musica di Abate l'argomentazione logica non è astratta, come a volte  vorrebbe lo stesso Autore (4), ma piena di buon senso e la pratica speculativa  conosce il dolce tepore della tenerezza. L'atteggiamento e(ste)tico di Abate è  di pudore nei riguardi del pensiero teoretico, facendogli perdere quel  carattere "forte" e "alto", aprendolo invece alle zone  insicure, oscure, indicibi, deboli, una debolezza ch'è ricchczza e capacità di  abitare se stessi e il mondo ''Abitare" non significa solo  "capire" le cose, ma esserne affetto, per cui l'opera assume il  valore della testimonianza. Da buon allievo di Donatoni, il meccanicistico  tramutare del tessuto sonoro è stato per Abate il criterio su cui lavorare. ma  l'indole e la natura mediterranea della sensibilità hanno mitigato, da sempre,  anche inconsciamente, le asprezze di un meccanismo impersonale e prepotente. Da  Abate ci viene una lezione di umiltà, salutare antidoto all'“inflazione  dell'io” che, secondo Jung, è "la malattia del nostro secolo'', e una  lezione di tolleranza che non è sopportazione, ma abbraccio sincero all'alterità  dell' uomo, ch'è non è più altro, ma prossimo . La nostalgia dei profumi e dei cieli di Calabria è sottilmentc  presente, visibile, a occhi attenti e amorevoli, dietro le griglie dei suoni.  La tensione fra indole e rigore metodologico, fra la riottosità dei  procedimenli e le esigenze espressive, questa tensione è stata, durante gli  anni Ottanta, giocata sui nervi, mitigata dall'amorevolezza del gesto, una  gestualità che diventa, via via, più personale e raccolta, più partecipata,  soprattutto nei pezzi recenti, quando Abate mette a frutto l'aver capito che  non era la soavità interiore, saremmo tentati di dire la grazia, a dover cambiare, ma ciò che  doveva mutare era l'arcigno metodo compositivo, astruso e non adatto alla  delicatezza del comunicare di un uomo amabile.
 Flautista, scrive la sua prima opera, Sonatina del 1969, per il suo strumento. I tentativi giovanili si rifanno a  Stravinskij, a Hindemith e a Bartok (del quale Abate conserverà un certo  meccanicismo della scrittura, che ben si sposerà con l'insegnamento di  Donatoni). Sulla metà degli anni Settanta, per esempio con Impromptus, il giovane Maestro inizia a  formarsi una nuova consapevolezza linguistica, maturata filtrando il mondo  fantastico di Castiglioni, il lirismo di Maderna, le esperienze di Varèse e  alcune suggestioni pittoriche, da van Gogh a Munch, da Klimt a Ligabue, spesso  filtrate altraverso il pensiero di Licini, della sua dialettica fra ragione e  sentimento.
 E' nel 1977 che si hanno i veri esordi compositivi, quando Abate inizia a  lavorare su progetti più impegnativi, infatti in Sol'o il linguaggio diventa più sfaccettato, insistito su  tecniche strumentali che portano i suoni al confine col rumore, linguaggio che  si arricchisce di un'indagine sui suoni limitrofi. Ha inizio l'auto-imposizione  della scelta di una regola e della vigilanza del rispetto di tale regola, anche  se ampie zone sono dominate da una sgomenta volontà espressiva che provoca  smagliature nella rete intervallare. I.'anno seguente, 1978, Abate scrive  cinque pezzi brevi per pianoforte, intitolati Scripta Sonant dal carattere meditativo, seppur con scatti  accordali eccitati e passaggi ritmici agitati, che non compromettano la stesura  netta e severa.
 L'originale e aleatoria partitura di Tatà  Requiem (1981), composta dopo la morte del padre (Tatà, come lo  chiamava Rocco), scritta per doppio quintetto di fiati perché ''l'oscuro gioco  del tempo'' (come recita il sottotitolo) fosse sottolineato da una serie di  accorgimenti: il primo quintetto sta vicino al pubblico, mentre l'altro si  sistema in fondo al palcoscenico; al primo viene affidato un materiale  cromatico e veemente, mentre al secondo un materiale formato da quarte e quinte  luminose, figure lente e andamento corale. I due quintetti s'impastano con  cautela, propone un tessuto strappato da suoni acutissimi, come un grido  doloroso e tristissimo (dalla metà del brano fino al termine, la scrittura si  fa più frastagliata c nervosa, fin ossessiva, romantik, forsc memorc di certi trattamenti alla Berlioz).
 Knecht è il primo lavoro  di Abate con scrittura di tipo automantico, l'unico parametro che sfugge a  questo meccanismo sono le dinamiche, tutto il resto sottostà a un impianto  numerico pre-determinato. Scritto nel 1982, il pezzo è un tormentato trio,  specchio inconscio di una persona che, dietro la gentilezza dei modi e d'animo,  è alla ricerca di un suo equilibrio: linee nervose del violoncello e del  clarinetto si accavallano su accordi tesi, ma quest'opera risente di un certo  gusto per l'affresco, al quale sfugge Nacht (dello stesso anno), dove la voce è lasciata nuda e si mostra in  una vocalità ricca di inflessioni e agile, libera sul vuoto.
 Dust, ancora del 1982,  porta il significativo sottotitolo di "op. n. zero", volendo  evidenziare una concentrazione assoluta, prima sconosciuta, su certe modalità  di trasformazione incessante del materiale di partenza (5). La pratica della  rilettura, il ripercorrere ossessivamente perentori itinerari è la disciplina  con la quale Abate vuole forgiare il costrutto; segue questa tipologia di  stesura anche il bel quartetto Tropie (  1983), dove l'intrecciarsi delle voci è polivalente e non sistematico,  superando una ccrta rigidità nella disposizione dei panelli compositivi.  L'atmosfera espressiva, anche se controllata da una studiata polifonia (assai  più evidente che nei brani d'esordio), rimanc viva, tesa e nervosa. La  produzione si avvia alla maturità e preannuncia prove che lasceranno il segno,  infatti nelle opere seguenti Abate rafforza la sostanza della scrittura, la  quale approda a una grande intensità linguistica ed emotiva, si ascoltino le  brevi, ma tesissime Cinque brevi  variazioni su "là ci darem la mano" (1984) per ottavino e  clarinetto basso, dove il linguaggio mozartiano si sbriciola, si frammenta, si  prosciuga eppoi si ricompatta con assoluta originalità, in un gioco  caleidoscopico di frammenti. Il brano si basa su una serie di undici suoni,  ovvero mancante del FA; nelle cinque brevi variazioni, che partano da  altrettanti frammenti del tema originale, l'inserimento del FA ha la funzione  di bloccare il meccanismo della  trasformazione del materiale, realizzando gesti fugaci. La tecnica della scomposizione e  della ri-composizione cellulare sta alla base anche di Spira (con testo sulla droga, lavoro  dell'89), qui un'asciutta polifonia coagula scheggie impazzite, la ricerca  strumentale è in evidenza, giocata, con eleganza e scioltezza, su un flauto che  dev'essere amplificato con riverbero c comprendente anche un testo (ad libitum)  di Antonietta Dell'Arte.
 Fra solve e congala gioca  sempre la scrittura di questo Autore che crede nella forza del pensiero, della  ricerca, al di qua di ogni banalizzazione sentimental-commerciale, ma che sa  anche concedersi, partecipando all'atto costruttivo con tutto l'essere. Il  frammento non è il risultato di un'estetica negativa, ma é carico di vissuto,  che, con pudore, si ritrae dall'idealismo dell'unità e dall' inciviltà del  troppo della società consumistica, per farsi testimonianza di esperienze  minuscole che sopravvivono nell'ipertrofia dell'(in)civiltà di massa. Come il  Palomar di Calvino, Abate compie piccole esperienze, vere proprio in quanto  minute.
 L'oggctto che Abate sceglie viene osservato, con spostamcnti repentini, da  più punti di vista: l'oggetto rimane sempre lo stesso e quel ch'è straordinario  è che assume forme talmente diverse da rendersi irriconoscibile.  Caratteristiche tecniche costanti sono la discontinuità degli sviluppi e la  successione contrastante delle sezioni, le quali soltintendono una sorta di  drammaturgia, un teatro della mente.
 La forma è il finito di una progettualità compositiva che si realizza nel  confronto fra intuizione, ragione e necessità. Senza una vera necessità  interiore la scrittura è mero calligrafismo. Le Sei bagatelle (1985) per trio d'archi sono, come tutti i  brani di questo periodo, basate su una griglia strutturale nella quale la  sedimentazione delle linee fa “tralucere un sostrato tematico-motivico ove la  citazione, mai nostalgica, è assunta a lettera morta \...\ esaurita una lectio  possibile dell'oggetto assunto a figura, questo viene abbandonato in tutta la  sua interezza depassée, non più fungibile e per ciò stesso non più fruibile''  (Carlo Alessandro Landini). La "minuziosa precisione di scrittura",  come ebbe a dire Paolo Renosto, dimostra ''una tensione all'interiorizzare del  pensiero compositivo", realizzata grazie a una straordinaria attenzione  nei confronti del suono, attenzione non solo in senso tecnico-artigianale (la  partitura presenta anche delle notevoli difficoltà strumentali), ma soprattutto  in senso emotivo, volgendosi al suono amorevolmente.
 Soluzioni esecutive specifiche si riscontrano nel formicolante pezzo per  clarinetto. Trista o degli oggetti, composto  nel 1986, come anche Eco per  due ottavini, brano interessante dal punto di vista ritmico e dinamico;  un'aleatorietà controllata sta alla base di Voci (1987) per quattro chitarre,  pezzo che gioca pure su una disposizione spaziale degli elementi sonori,  realizzando una pagina graficamente bella a vedersi e ricca di idee  strumentali. Simile è l'impostazione del brano per oboe amplificato, con eco e  riverbero, intitolato significativamente Narciso (1990). infatti i gesti si fanno più espliciti rispetto a quelli  raccolti di Spira che,  semmai, da un punto di vista espressivo si riallaccia a lavori ai limiti del  silenzio, come il coro Nulla e vento (1987),  dove i soffi danno la sensazione del vento e il canto si presenta in  un'impalpabile inconsistenza di suono, eppure da questo vuoto apparente esce  una cantabilità coinvolgente, diafana ma preziosa, che sorge da mondi lontani e  a questi ritorna (l'inconscio?).
 Sul concetto di cantabilità Abate non è d'accordo, per lui quando si notano  figure in evidenza è perché non è perfettamente riuscita la compatta  costruzione dei meccanismi che regolano il tessuto sonoro: che sia allora un  bisogno del materiale stesso, quello di uscire cantando'' Al di là della  volontà di chi lo ha impostato? Abate crede che questa voglia di canto sia  leggibile come "errore" o come "caduta di gusto", ma è il  suo pudore che non vuole concedersi a momenti troppo espliciti.
 I brani composti fra la fine degli anni Ottanta e l'inizio degli anni  Novanta, conservano il rigore della scrittura, a cui Abate non saprebbe mai  rinunciare, però marcano in maniera più pronunciata l'aspetto emotivo, vediamo  quali sono: Spettri per  fagotto e pianoforte, composto nel 1987; il grande lavoro dell'anno successivo, Nell'occhio, la memoria per  orchestra; lo svolazzante Vocabol'involiera  (1990) per flauto o ottavino e pianoforte; il brano per voce  recitante, violoncello e sintetizzatore, che dimostra la crescente attenzione  per i rapporti fra letteratura e musica, brano composto nel 1990, intitolato Ben disposti silenzi e basato su un  testo di Zanzotto; altri lavori che utilizzano dei testi sono Bestiario, per voce recitante e nastro  magnetico su testo di Lubrano e In un  sogno ventoso (scritto, come il precedente, nel 1990) per soprano,  voce recitante e nastro magnetico su testo di Angelini, pezzi da camera che  fanno da viatico alla stesura dell'opera teatrale. In questi brani le linee  orizzontali si dispongono in blocchi, in aggregati sonori più o meno  condensati; sono masse che si scontrano creando pieni e vuoti nello spazio e  luci e ombre nei colori. Da notare che dal 1988 al 1990, in questi due anni  Abate scrive solo Spira, ma  si costruisce una sorta di serbatoio di idee che utilizzerà in seguito, quando,  dal '90 in poi, la sua attività riprende a cadenze regolari (e comunque mai  frenetiche). Altri lavori almeno da ricordare sono: :Trama (1990) per 10 flauti, che parte da un accordo in  fortissimo per poi disporsi in un'articolata fascia sonora, inoltre Chronos et Mnemosyne (ancora del '90)  per quintetto d'archi e tre fiati, ovvero per un ottetto che ha lo stesso  organico di quello di Schubert e che prende vita proprio dalla prima nota, un  FA, del lavoro del Maestro di Vienna, instaurando procedimenti di elaborazione  chc si dispongono in uno spazio dilatato, realizzando un disinvolto ed elegante  sviluppo, senza riferimenti diretti a stilemi della musica schubertiana o  romantica. Oltre al nastro magnetico, mai utilizzato prima, Abate continua a  far ricorso, in questi anni, alla prassi di amplificare uno strumento con un  poco di riverbero, creando sonorità particolari, come nel caso di Sublimen (1990) per clarinetto con un  testo ad libitum (com'era avvenulo in Spira ) della Maraini; in questo lavoro Abate crea un labirinto musicale  che si rivela una trappola: Dedalo ha smarrito la strada, corre lungo pareti di  specchi, ha perduto la sua identità. Proprio nel gioco della presenza\assenza  della musica, come della condizione psicologica e mentale, il pezzo esprime il  suo fascino.
 Alla musica da camera, per la sua stessa natura raccolta e meditativa, che  permette un prezioso dispiegarsi della parti, Abate è particolarmente legato e  questa musica gli si confà pienamente, esaltandone sia le doti di abilità  nell'articolare il costrutto, sia le capacità espressive: si ascolti il bel  lavoro, per violoncello e pianoforte amplificati, con eco e riverbero, dal  titolo Antica (1993) dove la  compatezza della forma e la severilà del linguaggio, si sposano con una  struggente voglia di canto, realizzando un brano vigoroso e affascinante. L'  esaltazione delle virtualità del suono, inteso come emanazione di un bisogno  interiore, si riscontra pure nel R.E.Q.U.I.E.M. per orchestra, nel quale l'articolazione rigorosa del materiale, le  varie letture di micro-cellule che si aprono a raggiera, la ricerca di  relazioni nascoste fra gli elementi, lasciano comunque spazio a un gesto  emozionale. In questi anni (dall'89 a oggi) Abate recupera una scrittura più  libera e a tinte emotive, che era tipica dei primi lavori (fino all'82),  arrivando a una conciliazione fra rigore di scrittura e comunicatività. E' il  concetto di gioco che sta alla base del linguaggio: Abate sceglie la sua regola  e su quella costruisce le articolazioni, non c'è gioco senza regole e queste  sono assolutamente autonome, valgono solo perché scelte quale presupposto.
 Il Requiem viene scritto  nel 1992, lo stesso anno in cui compone le pagine  sinfoniche da "Dottor Sincretico". Abate sta lavorando a  un'opera teatrale (da cui ha già tratto le citate Pagine sinfoniche e il bel quintetto d'archi intitolato Progetto Sincretico ) su libretto di  Rruno Pedretti, dal titolo Dottor  Sincretico lavoro che, ne siamo sicuri da quello che conosciamo,  sancirà un approdo definitivo alla felicità della musica, attraverso una  ragione mansueta, domestica, finalmente attenuando l'oppressione del metodo  meccanicistico, finalmente cantando (il canio come errore necessario?),  scoprendo, come Abate ha già fatto nelle partiture migliori, la tenerezza della  ragione. Il Dottor Sincretico è un magisirato che vuole presentare sua figlia  Veronica ai tre linguaggi del mondo, che sono rappresentati dal poeta Fausto,  dal narratore Epifanio e dal drammaturgo Poligeno. Sincretico, geloso della  figlia, intenta un processo per reato di plagio ai tre artisti, condannandoli a  una morte simbolica. Analogo destino tocca a Veronica. Sincretico, che ha  fagocitato tutto, morirà per "troppa perfezione", infatti l'opera  finisce col protagonista che, delirante, si trasforma in un cristallo nero. Il  lavoro è ricco di sfaccettature e di simbologie, musicalmente Abate condensa la  sincreticità in un cluster, dal quale si diramano tese traiettorie o sequenze o  temi che riguardano i vari personaggi, i quali, attraverso questi accadimenti  sonori, mimano una microdrammaturgia teatrale. "Abate parte da un'idea  totalizzante del suono generatore (il cluster: più che altro metafora d'una  entità sonora che non possiede una sola direzione, ma si presta a essere  osservata nello spazio) \...\ i suggerimenti del cluster d'avvio sfilano  variegati e netti, Fino a esaurirsi in una sorta di decompressione timbrica che  conduce alla dissolvenza conclusiva" (ó). Il parossismo di alcune sezioni  (anche con citazioni dal Guglielmo Tell di  Rossini, assolutamente non funzionali al discorso e quindi creanti, proprio  perché decontestualizzate, un clima irreale e metafisico), l'aggrovigliarsi  degli elementi conduce a una sostanzialc con-fusione, riproponendo le  condizioni musicali per la cristallizzazione del cluster iniziale, che dal  forte sparisce nel nulla, e nel vuoto, come un buco nero, un rantolo implosivo  di Sincretico divora gli ultimi istanti di silenzio.
 L'esperienza estetica inizia quando viene sospesa la coditicata comprensione  del mondo, allora, liberata dalla costrizione di mantenersi conforme alle  regole, la mente viene stimolata a riflessioni libere. L'esperienza estetica si  compie, al di là dell'oggettività e dell'indifferenza che Abate stesso spesso  propugna (rifacendosi a Duchamp), quando riusciamo a vedere nelle cose un quid particolare, quando sappiamo  coglierne un di più: "l'uomo cerca l'esonero. L'esonero si ottiene nella  forma di un residuo che non può essere corrotto dai funzionalismi, dove tutto è  così come è in se stesso \...\ l'esperienza estetica, sullo sfondo delle  complesse funzioni della quotidianità, consiste in una perfetta assenza di  funzioni" (7). Se quindi, dando per scontato l'artigianato, occorre  trovare spazi nuovi per l'espressione artistica, la produzione recente di Abate  ci sta provando, riattivando l'intuizione  poetante che non sta in antitesi al ragionamento e alla tecnica, ma  ne e complementare , anzi  l'intuizione prolunga le prassi rigorose della composizione, scartandone però  le rigidezze di procedimenti meccanici e i rischi dei processi codificati,  rendendo più flessibili e induigenti le articolazioni del pensiero compositivo,  più disponibili ad accogliere le movenze dell' espressività, mantenendo sempre vigile la razionalità, ma con pudore.
 NOTE
 I ) Cfr. R. Cresti, Verso il 2000, edizioni  il Grandevetro, Pisa 1990. Racconta Abate del suo arrivo a Milano:  "quando, con i miei calzoni corti, affronto lo scalone del Conservatorio e  vedo in alto l'incombente quadro con un accigliato Beethoven, mi spavento. La  città nuova, il mito del Conservatorio. Avevo anche problemi di comunicazione.  Parlavo un italiano misto al dialetto, ma cominciai presto a legare con i miei  compagni" (Vita da musicista intervista  di Paolo Lezziero a Rocco Abate, in "Nuova Sesto", 5 giugno 1993). La  schieltezza e la nobiltà d'animo, tanto vicine alla genuinità  "contadina" quanto lontane dalla freddezza metropolitana, sono state,  durante gli anni Ottanta, delle caratteristiche che hanno dovuto modellarsi su  atteggiamenti e linguaggi codificati, su quella cultura musicalc sostenuta  dall'Apparato che avrebbe dovuto garantire al giovane Maestro l'inserimento nel  mondo ufficiale della musica colta. Dell'inganno ottico (in senso ermeneutico),  del bluff costituito dalle false lusinghe delle Istituzioni, Abate se n'è  accono in ritardo, ma se n'è accorto.
 2) Cfr. R. Cresti, Rocco Abate, la  tenerezza dell'intelletto, nella Rivista "Il Pasquino  musicale", anno II n 2, Latina 1992. Articolo utilizzalo anche nel  dèpliant pubblicitario, sulla produzione di Rocco Abate, da Rugginenti editore  in Milano.
 3) R. Abate, Il Compositore?  Mandiamogli un avviso di garanzia , Rugginenti, Milano 1994. Il  titolo curioso deriva dal clima di Tangentopoli, anche i compositori, dice  Abate, hanno
 grandi responsabilità nei rapporti sociali, forse non hanno commesso  ladrerie come i politici, ma si sono macchiati della colpa di presunzione, nel  caso di quei compositori che si sono chiusi nella torre d'avorio, o di  qualunquismo, nel caso di quelli Autori che hanno svenduto le loro operine ben  fatte al mercatino del bric e brac. Scrive Abate: " i compositori  intelligenti \...\ la loro attività, così scientifica e così poco umana \...\  l'avanguardia è un ciclico processo catartico \...\ un salutare stato febbrile  ch'è tanto più benefico quanto più è rapido nel suo apparire, agire e  dileguarsi \...\ il cosidetto neo-romanticismo (mai tanto impropriamente fu  denominata una corrente artistica che meglio sarebhe chiamare neo-banalismo)  \...\ non fu l'auspicato "nuovo capitolo'', ma un frutto malato, nato  dall'albero della tradizione severa, un equivoco pretesto, emerso dalle ceneri  di uno strutturalismo ipertrofico e agonizzante: la classica risposta sbagliata  a un problema reale".
 4) R. Abate, in una dichiarazione a "Musica Viva", n. 4, Milano,  aprile 19g0: "impadronirmi del linguaggio ha significato, per me, un  impegno testardo di volontà, essendo io proveniente da quel sud disgregato il  cui fatto culturale, là dove esiste, non tiene il passo con i tempi".
 5) In quegli anni, così ci scriveva Abate: "vorrei superare una certa  rigidità (spesso presente nella divisione in sezioni delle composizioni. Questo  superamento mi sembra che sia parzialmente avvenuto in Dust, dove le prime tre note  continuamente trasfonnate (dilatazioni, frantumazioni ecc.) danno origine a una  griglia (struttura portante dell'intero brano) che insieme col carattere  unitario della composizione consente anche una maggiore gradualità di transito  fra le sezioni. Il proposito intorno al quale vado lavorando da qualche tempo è  appunto quello di radicalizzare questi procedimenti e di estenderli alle varie  parti strumentali che pur partendo da materiale comune dovrebbero  diversificarsi via via".
 6) A. Foletto, Angelicum, in  "La Repubblica" del 16 aprile 1992.
 7) R. Bubner, Esperienza estetica, Rosenberg  & Sellier, Torino 1992. pag. 165.
 COMPOSIZIONI
 Sonatina, per flaulo e  pianoforte, 1979.
 La Recherche, per flauto,  violino, viola, violoncello e oboe, (fuori scena), 1970.
 Soledad, per orchestra  d'archi e percussione, 1975.
 Improptus, per flauto e  pianoforte, 1975.
 Sol'o, per flauto,  clarinetto basso, pianoforte, percussioni, violino, viola e violoncello, 1978,  Edipan.
 Scripta Sonant, cinque pezzi brevi  per pianoforte, 1978, Edipan.
 Sol'o, per orchestra, 1980,  Rugginenti.
 Tatà Requiem, per doppio quintetto  di fiati, 1981, Edipan.
 Knecht, per clavicembalo,  violoncollo e pianoforte, 1982, Rugginenti.
 Nacht, per voce femminile,  su testo di Georg Trakl, 1982, Edipan.
 Dust op. 0, per ottavino, 1982,  Rugginenti.
 Tropie op. 01, per quartetto  d'archi, 1983, Edipan.
 Sei bagatelle op. 02-5, per  violino, viola e violoncello, 1984-85, Ricordi.
 Cinque brevi variazioni op. 03, su "là  ci darem la mano", per ottavino e clarinetto basso, 1984, Ricordi.
 Four Piano Time, opera 06, per  pianoforte, 1985, Edipan.
 Eco op.O7, per due  ottavini, 1986.
 Trista o degli oggetti op. 08,  per clarinetto, 1986, Ricordi.
 Zois per voce maschile, su  testo di Rocco Abate, 1986.
 Timscel op. 09, per soprano  e clarinetto, 1985.
 Voci op. 012, per quattro  chitarre, 1987.
 Nulla e vento op. 011, per  coro misto a cappella, su testo di Rocco Abate, 1987.
 Spettri op. 013, per  fagotto e pianoforte. 1987.
 Nell'occhio la memoria op. 014 per  grande orchestra, 86-88
 Vocabol involiera op. OIS, per  flauto o ottavino e pianoforte, 1990. Ricordi.
 Ben disposti silenzi op. 017 per  violoncello, Sint. e voce recitante, su testo di A. Zanzotto, 1990.
 Spira op. 019 per flauto ampl. e  con poco riverbero, su testo (ad libitum) di A. Dell'Arte, 1989, Ricordi.
 Chronos e Mnemosyne  op. 021. per clarinetto,  corno, fagotto, due violini, viola, violoncello e contrabasso, 1990, Ricordi.
 Narciso op.O22 per oboe  ampl. e con poco riverbero, 1990, Ricordi.
 Meta appunti per il dott.  Sincretico op. 023, per baritono, voce recitante e nas.magn.,su testo di  B.Pedretti, 1990.
 Bestiario per voce  recitante e nas. magn, su testi di C.Lubrano, 1990.
 In un sogno ventoso op. 024 per  soprano, voce recitante e nas. magn., su testo di Claudio Angelini, 1990.
 Sublimen op. 026, per clarinetto  amplificato e con poco riverbero, su testo (ad libitum) di Dacia Maraini, 1990.
 Pagine Sinfoniche da  Dottor Sincretico op. 027 per orchestra, 1992,  Ricordi.
 R.E.Q.U.I.E.M. op. 028 per  orchcstra, 1992, Rugginenti Estratto op.  029 per fagotto, 1992.
 Progetto Sincretico  op. 030 per quintetto  d'archi o orchestra d'archi, 1993, Ricordi.
 Evelina op. 031 per  flauti, 1993.
 Angelica op. 013-032 per  violoncello e pianoforte amplificati e con eco riverbero, 1993.
 Voce per soprano, flauto e  pianoforte. su testo di Alessandro Miano, 1995.
 Discografia:
 -Tropie in LP Edipan, PAN  PRC S20-42;
 -Sol'o. in LP Edipan, PAN  PRC S20-37;
 -Scripta sonant; Four Piano Time in  CD Edipan;
 -Progetto sincretico op. 030 in  CD Fonit Cetra/Ricordi;
 -Brani vari in CD Rusty Records
     
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